gennaio 10, 2002

American Beauty


Lungo i viali dei quartieri residenziali si allineano linde villette circondate da giardini in cui trovano posto barbecue, biciclette adagiate in terra e aiuole fiorite. E’ lo scenario di un tipico angolo della più classica delle provincie americane quello in cui Mendes descrive le parabole esistenziali di una standard family d’oltreoceano. Lester, pubblicitario, Carolyn, agente immobiliare, Jane, la figlia, adolescente irrequieta e insoddisfatta. Tre esistenze vissute nell’illusione di formare una reale unità di affetti, nella falsa consapevolezza che una vita senza sussulti e senza slanci fosse, in fondo, quanto di meglio fosse loro concesso. Almeno fino a quando Lester, nella più classica delle crisi di mezza età, invaghendosi della migliore amica della figlia, si sveglia dal torpore e comincia una costante, testarda, dirompente opera di svelamento della realtà.
L’American way of life del tranquillo microcosmo di quartiere cade sotto i colpi di questo improvviso risveglio, palesando piccoli e grandi orrori quotidiani celati dietro una patina di vernice bianca.
C’è qualcuno che non rispetta le regole, che frantuma le convenzioni sociali, che ignora quei confini e scavalca quegli steccati che delimitano il territorio del lecito da quello dell’inopportuno. Ma non è una corsa solitaria quella che vuole fare Lester: prova a coinvolgere la moglie (ma lei sul più bello è più preoccupata di non rovinare il divano di seta italiana) e la figlia (che per tutta risposta ad un certo punto medita, non si sa fino a che punto scherzando, di ucciderlo). Ma si scontra sempre contro il muro di una società smarrita, malata, che dissimula in modo più o meno consapevole la profonda solitudine che inchioda ognuno dentro se stesso e al proprio ruolo che, volente o nolente, è costretto a giocare ogni giorno. Sembra quasi che nessuno voglia accettare le differenze di chi gli sta accanto. E il dramma finale si pone come soluzione possibile di una vita piccola, ma, perché vita, bella.

Mendes mescola con grande equilibrio i toni ironici con quelli più amari e malinconici, dipingendo un ritratto graffiante e al vetriolo quanto mai efficace di una società – la nostra, occidentale – in corsa verso il nulla, che verrà salvata, forse, dai ragazzi, ancora non del tutto contaminati dal male di vivere (o, meglio, del non vivere) degli adulti.