Buena vista social club

Sentimenti, calore umano, amore per la musica è tutto ciò che percepiamo in Buena Vista Social Club, un piccolo film girato in video che nasce in collaborazione con il chitarrista Ry Cooder, allo scopo di filmare una Cuba invasa dal bolero e dal cha cha cha.
Traendo ispirazione dalla musica cubana dei Super- Abuelos, i super-nonni dai novantadue anni in giù, che Ry Cooder aveva riunito in un inedito gruppo nel 1996, Wenders segue i suoi musicisti ( e che musicisti!) in giro per l'Havana mentre si raccontano.
Sono Company Segundo (1907), Rubén Gonzàles (1919), Eliades Ochoa (1946), Orlando Lòpez Vergara "Cochaito" (1933), Omara Portuondo (1930), unica donna dell'ensemble e Ibrahim Ferrer (1927), leggendario cantante cubano.
Alle immagini dei vecchi musicisti intervistati a Cuba, Wenders alterna le riprese dei due concerti trionfali che seguirono, ad Amsterdam e alla Carnegie Hall di New York, il tutto con una leggerezza ed una briosità irresistibile.
E' un omaggio alla musica latino americana e ad un mondo musicale ma anche umano e sentimentale che sta ormai per scomparire.
Il pianoforte di Rubén Gonzàles, la voce di Ibrahim Ferrer, le chitarre e le voci di Company Segundo e di Eliades Ochoa, insieme alla chitarra di Ry Cooder, restituiscono appieno il sentire comune di questi artisti nei confronti della musica: un amore vissuto gioiosamente e intensamente come un destino inevitabile. E allo spettatore non resta che farsi contagiare da questo film nel quale si reinterpretano brani che sono dei classici di quella musica cubana definita "una relazione amorosa tra il tamburo africano e la chitarra spagnola".
La regia di Wenders, che come pochi sa sollevare la pelle delle cose sulle quali posa l'occhio, ma che troppo spesso trasforma questo magico momento in un'operazione retorica, non toglie nulla all'incanto del film. Ne nasce una storia vera: il ritorno alla ribalta, dopo quarant'anni, di questo gruppo di talentuosissimi musicisti cubani che né la storia, né le vicende della vita erano riusciti a separare.
Cuba e l'Havana, il Malecom invaso dalle onde e le case tarlate dalla salsedine, le strade maltenute e i grandiosi vecchi palazzi, fotografati con molta libertà e grandi contrasti di colori, parlano da soli e per allusioni: delle difficoltà della vita, dell'ironia e della malinconia di questa bellissima gente, della musicalità di un popolo.
E se Buena Vista Social Club cattura la magia nascosta di Cuba, restituisce l'emozione di un concerto, viaggia e scopre spazi di realtà ritagliati dai contorni della vita, lo si deve sicuramente alla scelta decisamente antimoderna di un regista, Wenders, che da vero "fotografo" si tiene in disparte. Egli non racconta, ma lascia raccontare e suonare, senza ammiccare in nessun modo al linguaggio contemporaneo della musica in video.
Traendo ispirazione dalla musica cubana dei Super- Abuelos, i super-nonni dai novantadue anni in giù, che Ry Cooder aveva riunito in un inedito gruppo nel 1996, Wenders segue i suoi musicisti ( e che musicisti!) in giro per l'Havana mentre si raccontano.
Sono Company Segundo (1907), Rubén Gonzàles (1919), Eliades Ochoa (1946), Orlando Lòpez Vergara "Cochaito" (1933), Omara Portuondo (1930), unica donna dell'ensemble e Ibrahim Ferrer (1927), leggendario cantante cubano.
Alle immagini dei vecchi musicisti intervistati a Cuba, Wenders alterna le riprese dei due concerti trionfali che seguirono, ad Amsterdam e alla Carnegie Hall di New York, il tutto con una leggerezza ed una briosità irresistibile.
E' un omaggio alla musica latino americana e ad un mondo musicale ma anche umano e sentimentale che sta ormai per scomparire.
Il pianoforte di Rubén Gonzàles, la voce di Ibrahim Ferrer, le chitarre e le voci di Company Segundo e di Eliades Ochoa, insieme alla chitarra di Ry Cooder, restituiscono appieno il sentire comune di questi artisti nei confronti della musica: un amore vissuto gioiosamente e intensamente come un destino inevitabile. E allo spettatore non resta che farsi contagiare da questo film nel quale si reinterpretano brani che sono dei classici di quella musica cubana definita "una relazione amorosa tra il tamburo africano e la chitarra spagnola".
La regia di Wenders, che come pochi sa sollevare la pelle delle cose sulle quali posa l'occhio, ma che troppo spesso trasforma questo magico momento in un'operazione retorica, non toglie nulla all'incanto del film. Ne nasce una storia vera: il ritorno alla ribalta, dopo quarant'anni, di questo gruppo di talentuosissimi musicisti cubani che né la storia, né le vicende della vita erano riusciti a separare.
Cuba e l'Havana, il Malecom invaso dalle onde e le case tarlate dalla salsedine, le strade maltenute e i grandiosi vecchi palazzi, fotografati con molta libertà e grandi contrasti di colori, parlano da soli e per allusioni: delle difficoltà della vita, dell'ironia e della malinconia di questa bellissima gente, della musicalità di un popolo.
E se Buena Vista Social Club cattura la magia nascosta di Cuba, restituisce l'emozione di un concerto, viaggia e scopre spazi di realtà ritagliati dai contorni della vita, lo si deve sicuramente alla scelta decisamente antimoderna di un regista, Wenders, che da vero "fotografo" si tiene in disparte. Egli non racconta, ma lascia raccontare e suonare, senza ammiccare in nessun modo al linguaggio contemporaneo della musica in video.
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