maggio 30, 2005

Manuale d'amore


Tradimento" e "Abbandono". Questi quattro capitoli sono vissuti da quattro coppie diverse che, come in una staffetta, si passano il testimone. Tommaso e Giulia vivono tutte le fasi
dell' "Innamoramento": il primo appuntamento, il primo bacio, la convivenza, il matrimonio. Barbara e Marco affrontano la loro prima "Crisi" dopo anni d'amore: un figlio potrà aiutarli a superarla? Ornella vive il dramma del "Tradimento" con una grinta unica e contro un nemico "globale": l'uomo. Goffredo ci racconta dell'"Abbandono". E' talmente impreparato ad affrontare questa sua prima grande tragedia che si affida ai consigli di un audio-book trovato casualmente in libreria, dal titolo rassicurante e coinvolgente: "Manuale d'amore".
Gli italiani, oltre che “brava gente”, sono un popolo di amatori, come emerge da sondaggi e inchieste di mezzo mondo. E chi poteva realizzare un manuale d’amore cinematografico se non noi? E soprattutto quale genere migliore della commedia all’italiana per ritrarci all’opera? Sarà
forse un fuoco di paglia, ma si sentiva il bisogno di una commedia italiana che riunisse i volti più noti del nostro cinema. Un film dichiaratamente commerciale che cercasse di ristabilire quel rapporto confidenziale con lo spettatore da troppo tempo perduto tra drammi minimalisti e finte
pellicole d'autore. Difficile parlare d'amore... Cadere nel clichè, nella banalità è facile, così come
sfociare nella favola consolatoria o nel dramma. Il regista e sceneggiatore Sandro Veronesi ha raccolto la sfida, scegliendo di affrontare l'argomento percorrendo un'altra strada, ovvero ponendosi nella posizione di semplice osservatore, di documentarista dell'animo umano, fotografando le diverse stagioni del sentimento d'amore attraverso otto personaggi che si passano il testimone.

Dalle note di regia: “Non si tratta di episodi staccati - precisa Veronesi - perchè si intrecciano tra loro personaggi e situazioni e alla fine è come se fosse un'unica storia. Il film nasce da un'idea di Vincenzo Cerami, poi ci abbiamo lavorato con lo sceneggiatore Ugo Chiti e l'abbiamo cambiata dividendola in quattro episodi". Veronesi, su un soggetto di Cerami, spacca il capello amoroso in quattro tempi, ironizzando sulla fatica di volersi bene. Ne varrà la pena?
Malgrado questo e altri personaggi siano delegati a fare da trait-d'union tra i diversi capitoli,
le quattro parti sono - in realtà - autonome; non insistono sulle ambizioni sociologiche suggerite dal titolo ma, più saggiamente, intendono fornire un ragionevole divertimento a segmenti di pubblico (anche anagraficamente) variati. Ne esce un revival, per nulla disonorevole, delle commedie italiane a episodi di moda negli anni Sessanta, con relativi pregi e difetti. Che sono poi quelli della pizza quattro stagioni: dove una fetta t'ingolosisce, un'altra può rimanerti indigesta.
Ogni coppia va per la sua strada, ma tutte le coppie vanno per la stessa strada. O almeno questo è ciò che pensa l'autore della collana di CD "Manuale d'amore" (e gli autori del film, evidentemente), studiata per essere di aiuto e conforto agli innamorati di volta in volta cotti a puntino, in crisi, traditi o abbandonati.

"L’amore non cambia mai"

maggio 27, 2005

The Aviator


E’ la storia di Howard Hughes (Leonardo Di Caprio), una delle figure più controverse della storia americana del secolo passato. Magnate del petrolio, il giovane Hughes ha una passione per il volo e decide di investire le proprie risorse nella costruzione di velivoli sia commerciali che militari. Ma Hughes - che come dice Scorsese ha in sè le strambezze tipiche dei pionieri - nutre anche altre passioni: il cinema e le donne (“non si sa con quale ordine”). Morirà in solitudine a 71 anni nel 1976, consumato dalle ossessioni che gli avevano devastato il cervello.
Con "The Aviator", Martin Scorsese continua a raccontarci la sua America. Infatti, se con "Gangs of New York" ci dava la sua lettura della nascita dell'America, con questa sua ultima opera ne descrive la parabola dell'ascesa fino alle più alte vette del potere a cui consegue, ineffabile, il declino, ingrato frutto delle sommità raggiunte.
The aviator è un Icaro che si era avvicinato troppo al sole, un antico sovrano greco minato dalla follia. Presentandolo alla stampa, Martin Scorsese ha attinto alla mitologia e alla storia per descrivere la parabola umana del miliardario Howard Hughes, The Aviator. E in effetti ha il sapore della grande epica, la forza della tragedia classica e echi di drammi shakespeariani.
Pur fermandosi prima che la pazzia si facesse manifesta, The Aviator mostra luci e ombre di un personaggio molto controverso e per certi versi inquietante. L'entusiasmo e i lampi
di genio sono tutt'uno con le frequenti turbe psichiche. Di Caprio, sottoposto ad una vera e propria prova d'attore maturo, salta da un registro all'altro, dal giovanile all'entusiastico dal sensuale al paranoico, dando corpo ad un personaggio di grande, ambiguo fascino.
Splendide le riprese aeree, mozzafiato gli scorci ricostruiti da Dante Ferretti della Hollywood del periodo d'oro, la Mecca del cinema che Hughes contribuì a cambiare con le sue strambe ma geniali intuizioni. Maestosa è la ricostruzione dell'America dell'inizio degli anni '30 fino agli inizi degli anni '60: scenografie, costumi, musica restituiscono un'opera certamente grandiosa e completa. Scorsese mette in campo tutta la sua passione filologica per la settima arte e alla fine
sembra trovare nell'Aviatore l'ennesima parabola dell'uomo travolto dalla sua stessa grandezza che attraversa tanto del suo cinema. Il film è un grande racconto, anche a costo di qualche cedimento allo spettacolo. Passato attraverso il montaggio serrato e nervoso di Scorsese, Hughes diventa quasi l'icona di un capitalismo intimamente bacato, minato al suo stesso interno.

La concorrenza è una farsa, la guerra è un affare, la politica e le leggi si comprano, i soldi e il potere danno alla testa.”

maggio 20, 2005

Cuore sacro


Irene Ravelli ha ereditato dal padre non solo il patrimonio, ma anche uno spiccato senso degli affari. Ottenuto il dissequestro dell'antico Palazzetto di famiglia, Irene scopre che una delle stanze, abitate un tempo dalla madre, è rimasta intatta come se la donna ci abitasse ancora. Il fantasma della madre e l'incontro con una straordinaria bambina, Benny, generano in Irene un conflitto che la porta ad un totale cambiamento.
Gli occhi di Barbara Bobulova sono gli occhi di Irene, e il loro colore è blu intenso. Ma la loro luce cambia nel corso del film e passa da quella disumana del profitto e del business a quella umana della pietà e della compassione, mentre intanto anche la luce gelida e bianca della sua azienda e della sua piscina da ricchi si trasforma in quella notturna del Colosseo che ospita l'inferno di chi ha bisogno. Occhi in primo e in primissimo piano che si chiedono e ci chiedono perché la madre vivesse reclusa nella sua stanza circondata da incomprensibili geroglifici e come è morta e chi è Benny, la ragazza che improvvisamente apre scenari insospettabili nella sua vita. Occhi che infine trovano pace solo in una serena "follia" d'amore e nei battiti del suo Cuore Sacro. Ozpetek si muove con la sua macchina da presa e i suoi piano-sequenza verso la sua protagonista e le dà le risposte di cui ha bisogno, ma lascia gli spettatori da soli con le proprie domande che toccano le crisi della coscienza, la paura della morte, i segni dell'ultraterreno nel terreno e soprattutto il desiderio laico di un'umanità dell'essere e della solidarietà prima che dell'avere. Dopo "La finestra di fronte" un altro thriller della memoria miracolosamente sempre in equilibrio su se stesso (addirittura riesce a permettersi qualche episodio di alleggerimento), in cui la Bobulova è
bravissima a reggere da sola il peso del film e la rediviva Lisa Gastoni le fa da contrappeso nei panni di una spietata Eleonora. Il cast "teatrale", da Gigi Angelillo ad Erika Blanc ed Elisabetta Pozzi, dà corpo e profondità alla storia, mentre sullo schermo recitano anche i protagonisti maschili e la giovanissima Camille Dugay Comencini, ennesima figlia d'arte.
Forse il film è troppo lungo, e un po’ troppo scontato, forse la musica come sempre nel regista italo-turco invade troppo il racconto, forse si potevano risparmiare ad Irene esaltazioni religiose. Forse. Ma di sicuro in questi tempi senz'anima "Cuore Sacro" sa anche come metterci di fronte alle nostre anime, come farle riflettere e come farle emozionare.

maggio 14, 2005

Million dollar baby


Un vecchio allenatore, maestro di pugilato e, per i suoi allievi, forse di vita; una ragazza testarda, troppo vecchia per il ring, convinta - come succede - di farcela, sino al rischio della vita; un ex pugile, cieco da un occhio, saggio e distaccato. Il ring e i suoi contorni più o meno affidabili e luminosi. Storie, ambienti, personaggi ad imbastire una metafora dura e profonda sulla vita umana. Con quello che ha di lotta, di imprevedibilità, di conquiste, di sacrificio; di scelte morali decisive tra vivere e morire, bene o male, ricerca e approdo. E, se si vuole, rinuncia e richiesta. Lo stile registico di Eastwood, 74 anni, è sempre asciutto, la sceneggiatura agile, il ritmo veloce e i dialoghi di una terribile (per il contenuto, a doppio livello di lettura) essenzialità. La bellezza sta nell'esser privo, il film, di qualsiasi pesantezza moralistica: Eastwood racconta una storia, com'è dei grandi registi, ma ogni fotogramma, ogni dettaglio mantiene un rigore morale straordinario. Morgan Freeman (Oscar 2005 come migliore attore non protagonista), contraltare dell'allenatore, è forse il personaggio più centrato: è la sua coscienza, o se si vuole, Dio stesso. E’ lui a schiudergli il cuore indurito, a sopportarne le asprezze, a condividerne o meno le scelte, sino a quella estrema. Questo non è un film sulla boxe nè sull'eutanasia; ma è, appunto, un film sulla vita e forse ancor più sull'amore.
Eastwood infatti è un padre rifiutato da una figlia, personaggio presente- assente che gli rispedisce puntualmente le lettere che egli le invia; è Maggie, la ragazza pugile (un'intensa Hilary Swame, Oscar 2005 miglior attrice), a prenderne il posto, in un rapporto che da ruvido diventa tenerissimo, fino appunto al momento finale. Ma anche Freeman - la sua coscienza - entra in questo gioco di sentimenti, con una dolcezza severa, un'accoglienza illimitata che scava pennellate di forte spessore nel racconto. Il quale si conclude senza una soluzione definitiva, perchè la vita in qualche modo continua e l'uomo è libero (ma non solo) davanti alle sue scelte. Freeman resta in palestra ad accogliere altre giovani vite, senza dimenticare il vecchio Clint.

"A volte per tirare un colpo vincente bisogna arretrare, ma se arretri troppo non combatti più”.

maggio 13, 2005

Alla luce del sole


Chiamato dal vescovo di Palermo a occuparsi della parrocchia di un quartiere alle porte della città, Brancaccio, dove era nato, in meno di due anni Giuseppe Puglisi era riuscito a costruire un Centro di accoglienza. Qui, coadiuvato da un gruppetto di giovani volontari, lottava giorno dopo giorno per salvare dalla perdizione decine di piccoli innocenti. Presto capì che per incidere in quel tessuto disgregato bisognava fare e dare di più. Fare e dare di più significava scontrarsi contro l'inerzia del potere locale: per avere una rete fognaria, una scuola, un distretto sanitario, tutte cose che a Brancaccio mancavano da sempre. Inevitabilmente il suo percorso lo porta a entrare in conflitto con gli interessi del potere mafioso...

Roberto Faenza (già regista di Prendimi l'anima) mette sullo schermo gli ultimi due anni di vita di padre Pino Puglisi (Luca Zingaretti), coraggioso parroco palermitano assassinato il 15 settembre del 1993.
Ed è un bene che il cinema italiano torni a parlare di mafia. Padre Puglisi non solo ebbe il sogno
ambizioso, del recupero e dell'avvio ad una autentica cultura della legalità di ragazzi e fanciulli, ma anche il coraggio di realizzarlo in un luogo e in un momento tra i più neri nella storia del Paese. Brancaccio è infatti storicamente il quartiere dei boss, il luogo in cui lo Stato cede il posto alla violenza della mafia.
Tale situazione era tanto più grave tra il 1992 ed il 1993, nel momento in cui la mafia sferrava contro lo Stato la peggiore offensiva che la storia d'Italia ricordi, culminata nell'assassinio dei giudici Falcone e Borsellino e negli attentati di Roma, Firenze e Milano. Come Faenza mostra efficacemente, questo è il quadro in cui padre Puglisi svolge la propria opera, in una situazione di profonda solitudine e di isolamento da istituzioni, gerarchia ecclesiastica e dalla stessa gente di Brancaccio che il parroco si era proposto di riscattare. La costruzione di un Centro d'accoglienza è forse uno dei momenti cruciali della vicenda di padre Puglisi ed anche l'evento che lo porterà in rotta di collisione con gli interessi mafiosi del quartiere.
Pino Puglisi è un martire, e Faenza rende il suo martirio un atto di ribellione contro un ordine precostituito apparentemente immutabile, ma anche una testimonianza di fede, grazie anche all'intensa interpretazione di Luca Zingaretti. Comprimari d'eccezione però sono i tanti bambini e ragazzi verso cui il parroco rivolge i propri sforzi: giovani e giovanissimi costretti a vivere sulla propria pelle la frattura tra il nascente bisogno di legalità suscitato da padre Puglisi e la tradizione familiare legata alla criminalità organizzata.
Il regista non ha alcuna indulgenza per i cosiddetti uomini d'onore, che anzi vengono mostrati come uomini bestiali, portatori solo di violenza e viltà. Ci sono voluti anni per riconoscere il valore dell'opera di padre Puglisi e questo film testimonia ulteriormente come il suo sacrificio non sia stato vano ma offre anche oggi una scintilla di speranza.

"Io sono venuto qua per aiutare la gente perbene a camminare a testa alta".

maggio 08, 2005

Rassegna 2005


Oscar e dintorni...


Alla luce del sole

La storia di Padre Puglisi e del suo sogno ambizioso e del coraggio di realizzarlo in un luogo e in un momento tra i più neri della nostra storia. Per aiutare la gente perbene a camminare a testa alta.

Million dollar baby

Un vecchio allenatore, maestro di pugilato e, per i suoi allievi, forse di vita; una ragazza testarda, troppo vecchia per il ring, convinta - come succede - di farcela, sino al rischio della vita; un ex pugile, cieco da un occhio, saggio e distaccato. Il ring e i suoi contorni più o meno affidabili e luminosi. Storie, ambienti, personaggi ad imbastire una metafora dura e profonda sulla vita umana.

The Aviator

Un Icaro che si era avvicinato troppo al sole, un antico sovrano greco minato dalla follia. E’ la parabola umana del miliardario Howard Hughes. È il racconto degli anni giovanili di Hughes, spericolato innovatore nel campo dell'aviazione, appassionato della velocità, regista del kolossal Angeli dell'inferno, produttore di cult movie come Scarface, inguaribile dongiovanni che aveva conquistato decine di stelle come Katharine Hepburn e Ava Gardner, morto in solitudine a 71 anni nel 1976, consumato dalle ossessioni che gli avevano devastato il cervello.

Cuore Sacro

La storia di Irene e del suo conflitto che la porta ad un totale cambiamento. Attraverso i suoi occhi e la luce che da loro proviene, si snoda una storia semplice e importante, forse scontata, ma di sicuro in questi tempi senz'anima capace di far riflettere ed emozionare le nostre anime.

Manuale d’amore

L'amore in quattro tappe. Quattro spezzoni di vita di altrettante coppie che sono in realtà sempre la stessa a distanza di tempo.