maggio 31, 2007

Oliver Twist

Il piccolo Oliver Twist, dopo essere stato allevato in orfanotrofio, si ritrova insieme a tanti altri ragazzini in una casa di lavoro dove la vita è durissima: il cibo scarseggia, i ritmi sono insostenibili e la gestione dei responsabili è oltremodo repressiva. Scelto come rappresentante dai suoi compagni, una sera, dopo cena, Oliver si fa avanti chiedendo più cibo per tutti. La cosa desta enorme scandalo nel signor Bumble, direttore della casa di lavoro, e nell’intero comitato, cosicché il ragazzino viene etichettato come elemento di disturbo e offerto come apprendista a chiunque accetti di prenderlo con sé. Dopo aver scampato per un pelo un futuro da aiutante-spazzacamino (un lavoro pericolosissimo che ha già comportato la morte di tanti bambini asfissiati dal fumo), Oliver viene scelto come apprendista dall’impresario di pompe funebri, Mr. Sowerberry. Qui litiga e fa a pugni con Noah Claypole, un altro giovane apprendista che lo ha provocato facendo allusione alla morte di sua madre. Punito ingiustamente per quello che ha fatto, Oliver fugge e si incammina verso Londra. Giunto in città allo stremo delle forze, il piccolo orfano incontra Artful Dodger, un delinquentello che gli offre qualcosa per rifocillarsi e un posto per dormire. E’ così che l’ingenuo Oliver viene inglobato da una banda di giovani scippatori gestita dal sinistro ricettatore Fagin; qui fa anche la conoscenza del terribile Bill Sykes e della sua fidanzata Nancy. Ma Oliver scopre definitivamente in cosa consista quel genere di attività solo quando viene arrestato dopo essere stato coinvolto in uno scippo e accusato ingiustamente davanti al magistrato. Il ragazzino riesce comunque a scamparla e gli viene addirittura offerta la possibilità di iniziare una nuova vita andando a vivere dal signore Bronwlow, la vittima del furto. Più che una nuova vita, pero', ha inizio una serie di difficili avventure in cui Oliver viene lungamente conteso da una parte da Fargin e dalla sua banda di ragazzi timorosi che il bambino possa tradirli spifferando i loro nomi, e dall'altra dall’anziano benefattore Brownlow, deciso a sottrarlo alle angherie della criminalità.

La marcia dei pinguini


Il pinguino imperatore, mosso dall'istinto della riproduzione, si incontra con i suoi simili ogni anno nello stesso giorno e nello stesso luogo; il suo è un vero e proprio appuntamento con l'amore': è lì che, lanciando canti di seduzione, sceglie quello che sarà il suo partner per tutto l'anno, l'esemplare di pinguino con cui (quella stessa notte) avere un figlio. La mattina seguente la femmina si allontana, attraversando il lunghissimo e pericoloso percorso verso l'oceano (da dove, se sopravvive, mangerà il necessario per nutrire il suo cucciolo), mentre il maschio rimane a covare l'uovo, in attesa del ritorno della compagna. Non è un documentario ma un vero e proprio film, con trama, personaggi, momenti di emozione, paura, divertimento. Ma è anche autentico: racconta il ciclo riproduttivo del pinguino imperatore senza aggiungere una virgola alla realtà. I pinguini imperatori conducono davvero la vita assurda che vedrete nel film: maschi e femmine, nella breve estate australe, si conoscono, si corteggiano, si accoppiano; ogni femmina depone un solo uovo e poi, mentre l’inverno incombe, se ne va. Tra i pinguini imperatori vige il seguente ménage: le femmine trascorrono l’inverno al mare, nuotando e ingozzandosi di cibo, mentre i maschi restano in terra ferma, covando ciascuno il proprio uovo senza mai dormire né mangiare. L’uovo viene letteralmente «palleggiato» sulle zampe (se tocca terra si congela all’istante) e tenuto caldo con le piume dell’inguine. I maschi si radunano in colonie, e stanno stretti stretti, uno attaccato all’altro, per tenersi caldi.
A primavera, il preziosissimo uovo si schiude e préssoché nello stesso istante le femmine tornano dal mare, ritrovano a colpo sicuro i mariti e cominciano a nutrire i neonati rigurgitando il cibo immagazzinato per mesi. I maschi, esausti, vanno a loro volta al mare: è il loro turno dì andare a pesca.
Questa è, dunque, l’incredibile storia del pinguino imperatore; ed è, nè più né meno, la trama del film di Luc Jacquet. Il cineasta francese ha avuto l’idea del documentario dopo aver lavorato in Antartide come biologo. La lavorazione è durata un anno, e Jacquet ha montato il film partendo da 140 ore di materiale girato Comunque sia, Jacquet voleva realizzare un film epico, una grandiosa metafora sul sacrificio, sull’amore paterno, sull’« eroismo» di questi animali. Che invece, com’è ovvio, non sono «eroi», bensì perfetti esempi di adattamento — a fini di sopravvivenza — all’ambiente più ostile che esista.

La voce fuori campo che ci accompagna durante questo viaggio è, come molti già sapranno, quella di Fiorello che, a onor del vero, riesce con grande umiltà e rispetto a trattenere la sua verve comica e a calarsi nel ruolo di narratore, ha arricchito con battute personali il doppiaggio, anche quando l'atmosfera era drammatica, con apprezzamenti come "forti sti pinguini!".


Cinema, ragazzi!

La rassegna di quest'anno ha dedicato due film la cui visione è stata riservata agli alunni delle scuole elementari e della scuola media di Chiaramonte Gulfi. Tutto ciò è stato possibile grazie anche alla collaborazione con l'Associazione NAMASTE' che ne ha curato l'organizzazione. Sono stati proiettati La marcia dei pinguini, un bel film di animazione, e Oliver Twist, di Roman Polanski.

Saturno contro


Un gruppo di quarantenni, affronta il tema della separazione e la paura di restare soli, in momento critico come quello che stiamo attraversando in questi anni, tra crisi economica, terrorismo internazionale e la paura per il contagio delle nuove malattie. Tra questi, Antonio e Angelica, sposati da anni ma ormai in crisi da diverso tempo, non riescono però a vivere l'uno senza l'altra. Il tema della separazione é affrontato non soltanto dal punto di vista della coppia ma viene anche rapportato all'amicizia...
Ferzan Ozpetek torna a girare la storia di un gruppo di amici in un interno, evoluzione di quello gioioso delle Fate ignoranti e a filmare le variazioni dell'amore e la socializzazione tra omosessuali ed eterosessuali. Pur avendo gli astri a favore, almeno al momento della creazione, la sensazione che si ha guardando Saturno contro è quella di un cinema normalizzato e presuntuoso, che non ha un punto di vista e che finge di dire la sua con uno stile indubbiamente bello e impeccabile. Dietro ai morbidi movimenti di macchina, dietro alla fotografia e alla musica empatica, la visione del mondo del regista rimane vanitosa e inalterata. Il suo è un collettivo osservato senza psicologismi, tutti naturalmente bravi, capaci e appartenenti all'unica classe per Ozpetek visibile e quindi pensabile: la borghesia. Il capro espiatorio melodrammatico è questa volta l'omosessuale, che per "redimersi" e per commuovere il pubblico deve necessariamente morire. Se la redenzione del povero in Cuore sacro passa attraverso la carità, qui è la morte a risolvere e a impietosire un padre che non "condivide" la natura del figlio.
L'ideologia borghese di Ozpetek vorrebbe dire qualcosa di importante senza farne mai una questione politica, e così si rimuove la cultura borghese, quella della famiglia, della proprietà, della religione, per sostituirla con quella neoborghese dei sentimentalismi, degli economicismi e dei narcisismi di massa. Nel mondo ideale di Ozpetek, il film è stato significatamene girato tra le pareti di casa sua, rifugio traboccante di ricercatezza e solidarietà, il brutto non esiste e l'indesiderabile è bandito. Anche la morte è un segno fastidioso da rimuovere e sostituire con la bellezza piena e risvegliata di Lorenzo. Per Ozpetek non è più tempo di sguardi consolatori alle finestre ma di una discesa nel reale. Bisogna che il suo cinema "privato" (come le sue camere) prenda aria.

Il film sarà proiettato venrdì 1 giugno alle ore 21.30 alla sala Sciascia

maggio 25, 2007

Centochiodi


Un giovane e attraente professore universitario di filosofia si rende improvvisamente irreperibile. È infatti ricercato per un reato del tutto insolito: ha letteralmente inchiodato al pavimento e ai tavoli di una biblioteca ricca di antichi manoscritti e incunaboli quegli stessi volumi preziosi che avevano nutrito la sua formazione. Mentre i carabinieri lo cercano, il professore trova rifugio sulle rive del Po, a Bagnolo San Vito, dove una piccola comunità gli offre riparo e accoglienza.
Ermanno Olmi, classe 1931, ha deciso, da spirito libero quale è sempre stato: Centochiodi è il suo ultimo film di fiction. D'ora in avanti tornerà al primo amore o, meglio, al mezzo espressivo che per primo ha incontrato sulla sua strada artistica: il documentario. Ecco allora che questa 'storia' diventa una sorta di testamento autoriale. Cosa preme di più al settantaseienne autore? Gli preme, ancora una volta, guardare alla Fede attraverso l'uomo. Un uomo liberato dal vincolo del rigore della Legge che, per interessi del tutto umani, si pretende essere metro di tutte le cose. La parola, la parola scritta, codificata nei libri non vale un caffè con un amico. Olmi contro la lettura quindi? Assolutamente no. Olmi contro l'agitare i Libri (di qualsiasi fede e religione) per nascondere dietro quelle pagine, di cui ci si proclama unici e indefettibili interpreti, progetti di egemonia culturale o politica. Il Sacro per il regista è troppo importante per essere chiuso entro limiti. "Ma pur necessari, i libri non parlano da soli" afferma l'epigrafe che apre il film.
Chi parla veramente al cuore e alla mente del protagonista, un Gesù Cristo in autoesilio dal mondo freddo della 'Cultura', sono quegli umili che vivono sulle sponde del Po (fiume amato da Olmi che già ne aveva cantato la magia in un documentario) che sono capaci di accogliere con piena naturalezza (senza neppure far mancare quella carnalità che può anche sfociare nel motteggio volgare) lo Sconosciuto. Magari anche aiutandolo a riparare un tugurio, ricevendo poi in modo disinteressato la sua solidarietà nel difendere quegli argini che il mercantilismo cieco vorrebbe deturpare. È proprio in questa genuina umanità che si rispecchia il senso della vita secondo Olmi ed è un po' un peccato che il doppiaggio delle fasi iniziali del film e quello del valido Raz Degan (a riprova che i Maestri sanno trovare il talento là dove altri hanno visto solo l'esteriorità) in qualche modo ne falsino la compattezza, non solo stilistica ma anche sonora. Meglio sarebbe stato se Degan avesse parlato in quel suo italiano stentato che lo avrebbe fatto diventare un 'Cristo' venuto da lontano e ancor più pronto (rispetto a quello un po' declamatorio che ci offre il doppiatore) a 'imparare' dall'uomo che fa del dialetto il mezzo di comunicazione della sua saggezza popolare. Nonostante questo il film rimane nella mente e nel cuore spingendoci ad attendere il suo ritorno sugli schermi con i documentari che già sta realizzando.
La frase: Un caffè con un amico vale più di tutti i libri del mondo

Stasera, ore 21,30 alla Sala Sciascia

maggio 16, 2007

La ricerca della felicità


Chris Gardner (Will Smith) è un padre di famiglia che fatica a sbarcare il lunario. Nonostante i lodevoli e coraggiosi tentativi di tenere a galla il matrimonio e la vita famigliare, la madre (Thandie Newton) del piccolo Christopher, che ha solo cinque anni (Jaden Christopher Syre Smith) non riesce più a sopportare le pressioni dovute a tante privazioni e, incapace di gestire la situazione, decide di andarsene. Chris, trasformato in un padre single, continua a cercare ostinatamente un impiego meglio retribuito utilizzando le sue notevoli capacità di venditore. Alla fine riesce ad ottenere un posto da praticante presso una prestigiosa società di consulenza di borsa, e sebbene si tratti di un incarico non retribuito, lo accetta con la speranza che alla fine del praticantato avrà un lavoro e un futuro promettente. Privato dello stipendio, Chris e il figlio, vengono sfrattati dall'appartamento e costretti a dormire nei ricoveri per i senza tetto, nelle stazioni degli autobus, nei bagni pubblici o ovunque trovino un rifugio per la notte. Nonostante i suoi guai, Chris continua ad essere un padre affettuoso e presente, usando l'amore e la fiducia che il figlio nutre per lui come spinta per superare tutti gli ostacoli che incontra sulla sua strada.


Se lo sceneggiatore Fausto Brizzi ci ha recentemente riportati negli Anni Ottanta dello stivale tricolore attraverso il suo apprezzatissimo esordio registico "Notte prima degli esami" (2006), Gabriele Muccino, a tre anni dal bellissimo "Ricordati di me" (2003), affronta ora lo stesso decennio, nello scenario di San Francisco, con "La ricerca della felicità", sua prima prova in terra americana.
Però, tra cubi di Rubik, locandine di Toro scatenato e discorsi di Ronald Reagan alla tv, il suo lungometraggio racconta una ben diversa tipologia di esami, decisamente più seriosa e meno spensierata: quella relativa al periodo della vita in cui subentrano responsabilità che vanno ben oltre i banchi di scuola.
E lo fa ripercorrendo la vera storia di Chris Gardner - riportata dallo stesso, durante la produzione del film, all'interno di un libro non romanzato caratterizzato dal medesimo titolo -, interpretato da un eccellente Will Smith (Io, robot), brillante venditore in serie difficoltà economiche che, indietro con l'affitto per mancanza di lavoro, si ritrova sia abbandonato dalla moglie, con le fattezze di Thandie Newton (Mission: impossibile 2), che sfrattato dall'appartamento in cui viveva.
Ne consegue quindi un moderno apologo dolce-amaro che non avrebbe certo sfigurato nelle mani di Frank Capra o del nostro Vittorio De Sica (autori a cui lo stesso regista ha dichiarato di essersi ispirato), in cui l'autore de "L'ultimo bacio" (2001) trasferisce parte delle nevrosi tipiche dei personaggi delle sue fatiche, mostrandoci un Chris Gardner spesso arrabbiato, urlante e continuamente in corsa per le strade di San Francisco, sulle quali vaga tra i senza tetto, affiancato dal figlio di cinque anni Christopher, con il volto del piccolo esordiente Jaden Christopher Syre Smith (figlio di Will Smith), mentre, nella speranza di ottenere prima o poi una sicura retribuzione, accetta di svolgere gratuitamente il praticantato presso una prestigiosa società di consulenza di borsa.
Il tutto, commentato dalla bellissima colonna sonora di Andrea Guerra (Arrivederci amore, ciao) e condito con un indispensabile pizzico d'ironia, senza dimenticare un montaggio generosamente frammentato e la consueta abbondanza di dolly, pur non riuscendo nell'impresa di evitare qualche lentezza narrativa.
Ma ciò che non permette di gridare al capolavoro dopo la visione di questa godibile favola d'inizio millennio (o fine, se consideriamo il periodo di ambientazione), a tratti perfino commovente e traboccante poesia, è presto individuabile in un motivo ben preciso: il lodevole stile registico, tipicamente internazionale, del dotato Muccino, confrontato ai lavori di buona parte dei nostri giovani filmmaker "teatrodipendenti", che sembrano quasi essere affetti da una forma di fobia nei confronti del minimo movimento di macchina, risulta originale e coinvolgente, ma, trasferito negli States, dove un pò tutti girano in maniera simile alla sua, assume soltanto le fattezze di una pratica ordinaria.

La frase: "Quando le persone non sanno fare qualcosa, lo dicono a te che non la sai fare".


Contariamente a quanto programmato, la visione del film è differita a domenica 20 maggio alle ore 21.30

maggio 03, 2007

Nuovomondo


"Ammonticchiati là come giumenti
sulla gelida prua mossa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane"


Così diceva Edmondo DeAmicis nella sua bellissima poesia "Gli emigranti". Era il 1880, poco prima di quella storia che il regista romano (ma di origine siciliana) mette in scena in "Nuovomondo". Una storia che è la stessa di mille altre, quella di una famiglia meridionale (padre, figli e nonna, visto che la mamma è morta) che parte per l'America alla ricerca di un'esistenza migliore. La preparazione del viaggio, il travaglio del soggiorno in nave, l'arrivo ad Ellis Island, lì a due passi da quella Statua della Libertà che per quasi un secolo ha annunciato gli Stati Uniti ai nuovi venuti.

Una storia che conosciamo (o almeno dovremmo) bene, quella sicuramente di tanti nostri parenti lontani e vicini. L'abbiamo studiata a scuola, ce l'hanno raccontata i nostri nonni o i nostri genitori, ne abbiamo letto nei libri, sentito in alcune canzoni e visto in molti film. Sarebbe facile quindi pensare che di un film del genere non ce ne sia bisogno. Così come sarebbe retorico affermare che, di questi tempi, vedere come stavamo quando eravamo noi ad emigrare è imprescindibile per capire le sofferenze di chi oggi cerca nella nostra Terra il nuovomondo.
Il film di Crialese non è questo, ma cinema. Grande cinema. E' racconto epico, è realismo e sogno al contempo. E' potenza delle immagini (l'inquadratura del distacco della nave dal porto è eccezionale) e commozione familiare. Racchiudere la sua bellezza in un qualche messaggio "politico" sarebbe sminuirlo. Non per forza bisogna attualizzare, non per forza c'è da andare oltre a ciò che ci viene narrato. Anzi, proprio in questo caso (così come ha affermato lo stesso regista in conferenza stampa) è bello riflettere su noi stessi, noi italiani, sulla nostra identità, il nostro ingegno (vedasi il test di Vincenzo) e la nostra umanissima ingenuità. Popolo di furbi, ma anche di sinceri, di persone che parlano con il cuore in mano pur di rimanere con la propria famiglia.
Vincenzo il vecchio mondo e Lucy/Luce il nuovomondo. L'uno così fuori dalla realtà quanto la seconda consapevole di tutto, e quindi triste, sola. La bravura di Crialese è nel riuscire a gestire sia la microstoria (quella di Vincenzo) che la ricostruzione storica. Allunga i tempi nella parte centrale per far percepire quanto stancante potesse essere il viaggio, immette parti oniriche per simboleggiare il sogno di questi viaggiatori e finisce per raccogliere il tutto nelle due scene finali, la drammaticità del dialogo con i "giudici d'ammissione" e la magia del mare di latte, che sono la summa di tutto il suo lavoro. Non c'è voglia di infierire su chi ci accolse, non di provare pietà per i suoi protagonisti. Solo raccontare, perché certe volte un ricordo basta per dire mille cose.

La frase: "-Quante gambe ha un cavallo?
-Quattro
-E un cavallo e una gallina?
-Quattro e due
-Che fanno....?
-Camminano!".

Il film è in programmazione il 4 maggio alle 21.30 alla Sala L. Sciascia a Chiaramonte G. (RG)

maggio 02, 2007

Manuale d'amore 2 (capitoli successivi)


Film in quattro episodi. Nel primo, Riccardo Scamarcio è un giovane che, costretto su una sedia a rotelle in seguito a un grave incidente stradale, viene sedotto dalla sua fisioterapista, Monica Bellucci. Nel secondo, Fabio Volo e Barbora Bobulova sono due sposi alle prese con le difficoltà di concepire un figlio: ricorreranno alla fecondazione assistita in una clinica di Barcellona. Nel terzo, Antonio Albanese e Sergio Rubini sono una coppia gay la cui unione è osteggiata dal tradizionalismo del padre di quest'ultimo. Anche loro andranno a Barcellona, per sposarsi con il rito civile. Nel quarto, infine, Carlo Verdone è il maitre di un ristorante di lusso che, stanco della vita matrimoniale, si lascia coinvolgere in un vortice di passione da una bella e sensuale ragazza spagnola.

Ma quante varianti fastidiose ha l'amore
Sèguito del primo film di gran successo, Manuale d'amore 2 di Giovanni Veronesi è riuscito soltanto a metà. Il primo episodio (ragazzo malato folgorato dall'eros per la bella fisioterapista, Scamarcio e Bellucci), il secondo episodio (coniugi alle prese con la fecondazione assistita, Fabio Volo e Barbora Bobulova) sono drammaturgicamente insoluti, pesanti sgradevoli. II terzo episodio (coppia gay che vuole sposarsi in Spagna) mette insieme due attori bravi, l'equilibrato Albanese e il timoroso Sergio Rubini benissimo truccato e pettinato, e segue la loro vicenda con una certa leggerezza. Nel quarto episodio Carlo Verdone, marito cinquantenne innamoratosi d'una ragazza, è grande soltanto quando assalito dall'ansia (la sua nuova faccia rannuvolata è perfetta) o quando la moglie, scoperto il tradimento, ripete precipitosamente: «Ti perdono, ti perdono». Claudio Bisio fa (malvolentieri, sembra) la parte del conduttore radiofonico d'una trasmissione - dialogo sull'amore che lega i quattro episodi. Almeno due sketches sono critici verso le nostre leggi manchevoli o arretrate. Tutti gli episodi sono, se non drammatici, poco comici: più che l'amore, il film ne racconta le varianti fastidiose.
Da La Stampa, 19 gennaio 2007 (Lietta Tornabuoni)