maggio 28, 2004

Gli angeli di Borsellino


Come sono stati gli ultimi giorni di Paolo Borsellino, di Emanuela Loi e dei suoi colleghi, la scorta QS21, tutti vittime dell'attentato di via d'Amelio a Palermo il 19 luglio 1992?

A dare una risposta ci prova Rocco Cesareo, regista del film Gli angeli di Borsellino (Scorta QS21).

Il film si apre con un documentario toccante in cui parenti delle vittime della scorta raccontano con dignità e orgoglio il dolore per la scomparsa dei cari loro morti adempiendo al loro dovere.

Inizia poi la storia, incentrata intorno alla figura di Emanuela Loi (Brigitta Boccoli), 24enne unica donna della scorta, e dei suoi compagni di lavoro in una Palermo, quella di undici anni fa, provata dall'attentato al giudice Falcone e sotto la presa angosciante della mafia che nell'ombra prepara la seconda strage eccellente. Con uno stile asciutto e privo di fronzoli si narra della vicenda di Emanuela vissuta con la rassegnazione per la sua ineluttabilità, come ineluttabile e inevitabile è la paura che spesso si accompagna ad una sensazione di solitudine ed isolamento la cui conseguenza è la certezza, raggiunta giorno dopo giorno, di essere abbandonati ad un destino fatale e nefasto. Questa percezione che il film trasmette è probabilmente una delle cose migliori dell'opera. E' una cronaca toccante di una pagina triste del nostra Paese. Un resoconto che inizia il 23 maggio, giorno dell'attentato a Giovanni Falcone, e si conclude 57 giorni dopo, con l'attento a Paolo Borsellino.

57 giorni di speranze perse e di sogni infranti per la giovane Manuela, sarda, e mandata suo malgrado in una città lontana a fare un lavoro pericoloso che benché non sentisse suo ha cercato di svolgere al meglio. Ma anche 57 giorni di amicizie e giochi, di matrimoni, di legami forti che si stringono tra i sei giovani poliziotti della scorta QS21, giovani generosi, diventati bersagli mobili, o “cadaveri ambulanti” legati dal filo sottile della paura e a volte del sospetto.

Sei poliziotti al fianco di un magistrato scomodo, da eliminare in qualsiasi modo, anche a costo di far diventare una strada di Palermo un sobborgo di Beirut.

Sei “bersagli mobili” che si opponevano allo spettro di una catastrofe annunciata con tutte le loro forze, anche a costo di forzare le regole.

Sei ragazzi che hanno affrontato il peso di una responsabilità più grande di loro… un gruppo solidale e compatto con un dirompente coraggio e tanta voglia di vivere.


"Gli angeli di Borsellino" vuole anche essere, forse, un film che scuota le coscienza nazionali, un inno a non dimenticare MAI i piccoli immensi eroi e martiri, morti per la
giustizia e per l'Italia.

Per la proiezione abbiamo invitato la Sig. Emilia Catalano, madre di Agostino, il capo scorta di Borsellino. Non essendo potuta intervenire ci ha inviata questa lettera:

Voglio ringraziarvi tutti, vorrei abbracciarvi uno a uno per dirvi Grazie dal mio cuore di mamma. Grazie perché mi avete invitata. Grazie perché organizzando queste attività date al mio cuore di mamma un forte sollievo e mi incoraggiate a non mollare. Vi dico grazie anche a nome di mio figlio Agostino che oggi non è più con me perché è morto per colpa della mafia.

E’ terribile sapere che il proprio figlio che tu ami un giorno non tornerà più a casa perché muore vittima dell’odio e della vendetta. Era il 19 luglio 1992 e io mi trovavo nella casetta a Cinisi. Una telefonata mi avverte di una strage in via D’Amelio. Io piango, sì piango, ma non sapevo che tra le vittime c’era mio figlio Agostino. E’ stato terribile.

Da più di dieci anni con Nicolò Mannino che voglio bene come un figlio, abbiamo girato l’Italia per portare speranza, amore, pace giustizia. Ma le lacrime e il mio dolore sono ancora come il 19 luglio di 12 anni fa. Sapere che voi mi aiutate in questo impegno mi riempie di speranza. Grazie, grazie a nome mio e di mio figlio Agostino che amo e amerò fino alla fine dei miei giorni.

Ormai a casa mia sono rimasta sola e quando la sera chiudo la porta di casa mia guardo la foto di mio figlio Agostino e lo bacio in continuazione.

Mio figlio mi sorride e sembra che mi dice: “Mamma, non piangere più…io sono vicino a te e ti guardo dal cielo”. Poi mi addormento e sento che mio figlio è vicino a me.

Se voi mi aiutate a portare nel mondo quello che anche Agostino col suo lavoro voleva fare, la sera avrò più compagnia, perché ci sarà anche la vostra.

Grazie ancora perché, invitandomi, continuate ad incoraggiarmi e a darmi speranza. Vi abbraccio tutti.

Mamma Emilia Catalano


maggio 21, 2004

Segreti di stato


Primo Maggio del 1947, a Portella della Ginestra, vicino Palermo, qualcuno spara sulla folla: 11 morti e 27 feriti. Poche ore dopo la strage gli inquirenti fanno già un nome: il bandito Giuliano. Ma, stranamente, la rapida inchiesta sul massacro di uomini donne e bambini avvenuto durante la Festa del Lavoro e la successiva misteriosa uccisione del famoso bandito che avrebbe causato tale misfatto, verranno dichiarati dal Governo Italiano “Segreti di stato”. Dopo anni di ricerche e studi dell'ampia bibliografia pubblicata sull'argomento, delle testimonianze raccolte da Danilo Dolci, dei documenti desegretati dalla Commissione Parlamentare Antimafia, degli incartamenti relativi al processo depositati presso il Tribunale di Roma, e soprattutto grazie all'analisi sistematica della documentazione rinvenuta negli archivi dell'Office of Strategic Services di Washington (un materiale impressionante e tuttora inedito), siamo in grado di avere oggi una ricostruzione nuova e originale dei fatti e delle cause di quel tragico evento.

Trama: durante il processo per la strage di Portella della Ginestra, tenutosi nel '51 a Viterbo contro i membri della banda Giuliano, un avvocato non convinto dei risultati dell'inchiesta decide di condurre segretamente una propria indagine sull’eccidio.
Da un piccolo particolare - il calibro delle pallottole estratte dai corpi delle vittime - l'avvocato risale la china di un lungo percorso d'indagine, alla ricerca di tracce nuove e testimonianze inascoltate. Questo percorso lo conduce in Sicilia, sul luogo della strage.
Portella della Ginestra, in provincia di Palermo, è un enorme pianoro incolto e sassoso racchiuso tra i monti Pizzuta e Kumeta. Questo secondo rilievo ha una propaggine avanzata che incombe sulla piana: il Cozzo Dxuhait, che in albanese significa "punto d'osservazione". Al centro del pianoro vi è un masso: il sasso Barbato, podio naturale degli oratori socialisti fin dai tempi dei "fasci siciliani".
Il quadro geografico risulterà particolarmente importante per l'avvocato, consentendogli di avanzare poco a poco verso un'ipotesi totalmente differente da quella ufficiale.

LE RAGIONI DI UN FILM di Paolo Benvenuti

“Il primo a parlarmi della strage di Portella della Ginestra fu il sociologo Danilo Dolci nel settembre del 1996. Dolci non amava il cinema, lo riteneva veicolo di "trasmissione" e non oggetto di "comunicazione"…Ma si convinse a mostrarmi nel suo Centro Studi a Partitico alcuni vecchi faldoni pieni di carte, archiviati con la dicitura "Portella della Ginestra - testimonianze".
Per aver capeggiato nel 1956 uno sciopero "alla rovescia" di contadini affamati, facendo riparare una vecchia "trazzera" dissestata, Dolci, accusato di sedizione, era stato tradotto al carcere dell'Ucciardone di Palermo. Durante la sua detenzione ebbe modo di avvicinare gli uomini della banda di Salvatore Giuliano e di intervistarli. Da quelle testimonianze, raccolte dalla viva voce dei banditi, iniziò una ricerca sistematica che Dolci e i suoi collaboratori condussero per anni sul territorio della Sicilia occidentale, intervistando testimoni, vittime della strage e quanti avevano visto cose che non avrebbero mai dovuto vedere…
Mi misi di buon grado a decifrare quegli scritti che per me risultarono, allora, totalmente incomprensibili. Non conoscevo nulla della storia di Salvatore Giuliano, nulla della Sicilia del dopoguerra, nulla del Separatismo, delle lotte contadine, del banditismo, degli intrighi politici, della fame, dei morti ammazzati sui cigli delle strade…Documentandomi, si andava svelando ai miei occhi una storia di legami inconfessabili tra criminalità organizzata e politica, tra pezzi dello Stato italiano agli albori della Repubblica e il banditismo più efferato e sanguinario.
Quando Danilo sentì di essere prossimo alla fine, mi fece promettere che avrei portato a termine questo lavoro, traendone un film. "Un film semplice," - disse - "alla portata di tutti." Poi aggiunse: - "Gli italiani devono sapere che Portella della Ginestra è la chiave per comprendere la vera storia della nostra Repubblica. Le regole della politica italiana di questo mezzo secolo sono state scritte con il sangue delle vittime di quella strage". Il film è nato da quella promessa”.

Per approfondire: http://www.misteriditalia.com/giuliano/


maggio 14, 2004

Buon giorno, notte!


Il 16 marzo 1978 Aldo Moro, presidente del Consiglio e leader della Democrazia cristiana in procinto di aprire nel suo governo la partecipazione al PCI, viene sequestrato dalle Brigate Rosse e per 55 giorni resta prigioniero all'interno di un appartamento di via Montalcini a Roma. Il 9 maggio viene ritrovato morto nel bagagliaio di una macchina in via Caetani. Tra i sequestratori c'è Anna Laura Braghetti, autrice del libro Il prigioniero (Feltrinelli), che racconta la quotidianità di quei 55 giorni all'interno della casa-prigione. Bellocchio dichiara che il libro della Braghetti è stato la fonte più preziosa per la ricostruzione dei fatti raccontati nel film, anche se “…gli episodi che abbiamo preso dal libro sono stati cambiati, trasformati e traditi”. Chiara (Maya Sansa) ha 23 anni e fa parte del gruppo dei carcerieri di Moro (Luigi Lo Cascio, Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno). Attraverso il suo sguardo - talvolta perso, spesso impaurito, inconsapevolmente o consapevolmente miope sulla realtà che la circonda - prende corpo il complesso mondo degli anni di piombo. Chiara è Bellocchio stesso, cioè lo sguardo del regista sulla scena ed infatti essa si muove negli ambienti e nei meccanismi narrativi come un'altra macchina da presa; aggrappata a quel filo di emozioni che l'ideologia e la disciplina della lotta di classe (meccanicamente enunciata da un livido e già sconfitto Lo Cascio/Moretti) recidono continuamente, Chiara si scopre sempre più a disagio nel ruolo di combattente e nel confronto con la ferocia distruttiva di chi le vive e le dorme accanto. La ribellione del personaggio di Chiara, assente nel libro della Braghetti e completamente inventata da Bellocchio, è il motore del film.

Indifferente a qualunque forma di ricerca della verità ( “Non mi ha mai interessato in questo film cercare di capire chi ha ucciso Moro, chi c'è dietro. Sono cose importantissime, tragicamente fondamentali, ma in questo film mi interessava altro” ), dolente, visionario, personale al limite dell'intimità (Bellocchio si emoziona raccontando che le scene oniriche in cui Moro passeggia libero all'interno dell'appartamento, tra i terroristi addormentati, gli sono state ispirate dal ricordo delle passeggiate notturne di suo padre) eppure straordinariamente efficace nella rappresentazione di un'epoca e di un paese, Buongiorno, notte è un film sorprendente e meraviglioso.

Alla conferenza stampa viene letta la lettera nella quale Giovanni Moro, figlio dello statista ucciso, commenta il film: “Trovo che Bellocchio, scegliendo deliberatamente di riflettere sulla esperienza dell'uomo Aldo Moro in carcere senza vincoli o ambizioni di ricostruzione storica o di fedeltà all'insieme dei fatti e degli atti noti, abbia davvero illuminato aspetti importanti di quella vicenda”.

Per saperne di più: http://www.misteriditalia.com/casomoro/

maggio 07, 2004

Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni


"Somalia: uccisi due giornalisti italiani a Mogadiscio Mogadiscio, 20 marzoLa giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e il suo operatore, del quale non si conosce ancora il nome, sono stati uccisi oggi pomeriggio a Mogadiscio nord in circostanze non ancora chiarite. Lo ha reso noto Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore italiano che vive a Mogadiscio da dieci anni".

Il Caso Alpi/Hovatin comincia così, con queste poche righe, ancora frammentarie, battute alle 14.43 del 20 marzo 1994 dall’agenzia ANSA sui terminali dei quotidiani e delle televisioni italiane. E con questa terribile vicenda comincia anche la battaglia solitaria, ma incessante, alla ricerca della verità, dei genitori di Ilaria Alpi, Luciana e Giorgio.
Un altro mistero, un altro caso non risolto.
Chi - e soprattutto perché - ha assassinato due giornalisti, inviati in una zona di guerra particolare come la
Somalia diventata, da tempo ormai, un inestricabile crocevia di traffici illeciti ben nascosti dietro il paravento ipocrita della cooperazione internazionale?
Ilaria Alpi, giornalista del Tg3 ed il suo operatore, Miran Hrovatin, in Somalia al seguito dell’operazione militare multinazionale, sotto egida ONU, Restor Hope, fortemente voluta dagli americani, stavano indagando proprio su questi oscuri traffici - armi e rifiuti tossici, in particolare - dentro i quali apparati politico-diplomatico-militari dello Stato italiano erano dentro fino al collo.

Il
caso Alpi - Hrovatin come un puzzle incompleto, ma anche come punto di coagulo di molte delle storie più oscure del nostro Paese.

Per chi vuole approfondire: http://www.misteriditalia.com/alpi-hrovatin/

maggio 06, 2004

Rassegna 2004


Chiaramonte in primavera...
La memoria è come un film
in bianco e nero.
A volte viene dimenticata
nei cassetti della storia.
Ma a volte ritorna...
e lascia tracce


La Rassegna di quest'anno è intitolata "Misteri d'Italia" e vuole ripercorrere soltanto alcuni dei misteri di casa nostra. La programmazione, alternata con una rassegna di teatro e musica, prevede quattro appuntamenti: Ilaria Alpi, il più crudele dei giorni (7 maggio); Buongiorno, notte! (14 maggio); Segreti di stato (21 maggio); Gli angeli di Borsellino (28 maggio)

La città piena di senso è la città della comunicazione e del dialogo, vale a dire della cultura. Ci si adopera a volte a misurare i costi della cultura, senza avere idea però di quanto costi l’ignoranza.
L’emarginazione non è un fatto solo economico. Indifeso e ultimo non è tanto chi non ha, ma chi non riesce a far propria la ricchezza della comunicazione con gli altri: la cultura. Essere utile agli altri vuol dire soprattutto vincere l’incomunicabilità dell’ignoranza e la chiusura egoistica che questa inevitabilmente si porta dietro. Civile e disponibile agli altri è perciò la città delle relazioni umane piene. La città colta, appunto.
(Egidio Zacheo)