dicembre 27, 2000

Incontro con Paolo Buonvino



A trentadue anni, Paolo Buonvino può dire di avere iniziato "alla grande" una carriera artistica certamente destinata ad avere fortuna. Un successo interamente dovuto a una modestia e a un'umiltà che lo hanno portato prima ad essere il prezioso assistente di Franco Battiato, poi a iniziare quasi per caso a comporre colonne sonore per il cinema. Un genere reinventato alla luce di una grande sensibilità di matrice mediterranea, supportata da una notevole pignoleria tecnica e da una robusta cultura classica.

Nato a Scordia, a trenta minuti da Catania, Buonvino è una persona affabile che si impegna al massimo nel suo lavoro, tanto è vero che dopo le musiche per la Piovra 8 e 9, per Ecco fatto e Come te nessuno mai di Gabriele Muccino, per Dancing North di Paolo Quaregna, per L'amante perduto di Roberto Faenza ecco arrivare un'offerta addirittura dall'estero per comporre la musica de Il cardinale per la ZDF con Horst Tappert alias l'ispettore Derrick come protagonista.

Ma se siete dei registi mediocri fate molta attenzione a Buonvino: tenetevi alla larga! Nonostante la sua epidermica simpatia e la sua professionalità indiscutibile, il compositore siciliano, vincitore del premio Rota 1999, è una sorta di diavolo tentatore. Se il vostro film non sarà granché, il confronto con le sue musiche emozionanti e sinuose farà sfigurare ancora di più il vostro lavoro.

Maestro Buonvino, ma lei non ha mai l'impressione di migliorare i film con le sue musiche?

Ogni volta che io lavoro a un film do tutto me stesso, perché voglio sempre potere offrire il massimo al regista e al pubblico. E' ovvio che alle volte mi accorgo delle cose che non vanno nella pellicola, ma questo non riguarda me, bensì l'autore. Io mi limito ad occuparmi del mio lavoro tentando di farlo il meglio possibile. In pochi anni lei si è imposto insieme a Ludovico Einaudi e a Pivio e ad Aldo De Scalzi come uno dei principali e più originali autori di colonne sonore. Questa è una bella soddisfazione per lei… Certo, ma non solo per me. Vivo in una terra di persone che non trovano lavoro e che finisce sui giornali solo per fatti tragici. Mi considero baciato dalla fortuna e conosco il valore di quello che sto vivendo. Non solo per me, ma anche per il mio paese.

E adesso che arrivano anche i riconoscimenti dall'estero, come si sente?

La gioia più grande è quella di vedere dei produttori tedeschi che ogni settimana vengono in Sicilia per potere ascoltare le musiche che sto componendo per il loro film televisivo. Venendo qua si accorgono di tante cose che succedono e sono intenzionati a tornare, magari portando del lavoro e del turismo. Io vivo in un piccolo paese. Sono circondato dall'affetto di tutti e sono felice che quello che mi accade possa aiutare - speriamo - anche gli altri. Quale è la fonte principale delle sonorità tanto originali delle sue musiche? Dalle voci delle persone che vendono le patate o la frutta nelle strade dei paesi siciliani. Dai suoni e dai colori della mia terra, dai venditori ambulanti il cui incedere è simile a quello dei muezzin, dai canti antichi dei miei anziani che mi portano a un piacere di natura cromosomica nell'ascoltare melodie antiche e presenti da sempre nel mio sangue. Questo è un qualcosa leggermente più spontaneo della cosiddetta musica colta occidentale. Un fenomeno analogo a quello che viene prescritto nel Jubilus Allelujaticus di Sant'Agostino, che riferendosi ai melismi del canto gregoriano scrisse: "Devono essere l'espressione della gioia della consapevolezza che esiste un Dio…". L'etnia è la stessa cosa. Una senso di spontanea e gioiosa appartenenza. In siciliano si dice: "mi fa arrizzare i carni…" Il mio lavoro segue la direzione di raccontare e reinventare questi sentimenti attraverso la musica. Se non ci riesco è meglio allora che lascio stare, perché è tutto tempo perso. Da dove parte il suo lavoro? Dall'emozione. Dal riuscire ad emozionare me stesso prima di tutto per poi tentare di farlo anche con gli altri. Quando ci riesco è una sensazione immensa.

Prima di scrivere la musica vuole sempre vedere il film?

Dipende dal tipo di lavoro che mi viene chiesto di fare e dal regista con cui devo lavorare. Ogni composizione ha una storia diversa. Alcune musiche le ho composte più rapidamente - ahimé - mentre altre fortunatamente sono stati più "pensate". Sostanzialmente, però, a me interessa che la musica funzioni anche da sola. Sono scontento se faccio solo una musica di commento. Mi piace regalare delle immagini e delle emozioni anche soltanto tramite l'ascolto del Cd senza avere visto il film. Preferisco i lavori che donano emozioni anche in altri contesti.

Una musica per gli occhi?

Certo, con i limiti di dovere per forza di cose stare a servizio del film. Con il mio lavoro voglio dire delle cose.

Quanto incide il rapporto con il regista?

Enormemente. Il lavoro è migliore quanto più il regista mi sa spiegare quello che vuole. Lasciandomi anche un po' libero… Più della sceneggiatura è la comunicazione con lui che mi dà una mano. Quali sono i suoi idoli dal punto di vista musicale? Non ho alcun idolo e non mi piace averne, o meglio ne ho solo uno che appartiene a una categoria superiore e in cui ho molta fede. Apprezzo molto l'opera di John Williams soprattutto dal punto di vista tecnico, anche se non comporrei mai nulla nel suo stile. Mi piace molto anche il lavoro di Hans Zimmer, con cui mi piacerebbe un giorno potere arrivare a collaborare.

Se dovesse comporre la musica per uno dei film che ha amato e di cui esiste già la colonna sonora, quale sceglierebbe?

Sicuramente quella di un film che mi piace molto e di un genere di lavoro che vorrei potere fare: Schindler's List di Steven Spielberg. Quando vado al cinema amo uscire con qualcosa di più, con un motivo in più per essere migliore. In quel senso mi piacerebbe lavorare a film che servono. Ovviamente mi diverto molto anche con i film comici, ma preferisco fare cose che abbiano un senso e che siano davvero utili per le persone. Non voglio fare il mestierante e non mi va di pensare di fare le cose solo per farle. Non avrebbe, infatti, alcun senso. Molto meglio allora fare il medico o il muratore che almeno sei davvero utile immediatamente a qualcuno. Io mi sono prefisso lo scopo di dire delle cose. Ne ho molte, lo voglio fare e spero di riuscirci. Rinnovando il più possibile ogni volta se stesso e il suo messaggio… Io sono credente (ma se fossi ateo la situazione non cambierebbe troppo…) e fondamentalmente la cosa da dire è una sola: siamo tanti in questo mondo e siamo nati per riuscire a dare qualcosa agli altri, qualcosa che banalmente potremmo definire come "il volersi bene". Un messaggio che può sembrare elementare, ma che io tento di trasmettere con le mie composizioni.

Paolo avrebbe dovuto essere presente alla proiezione, ma non potendo, così ci ha scritto:

Onorato dal vostro invito, mi vedo purtroppo costretto a non poter essere con voi per urgenti impegni di lavoro, (il 2 febbraio dovrebbe infatti uscire il film "L'ultimo Bacio" -Regia di Gabriele Muccino- di cui ho composto la colonna sonora; ed inoltre il 6 Marzo è prevista la messa in onda de "L'impero" -Mediaset- Regia di Lamberto Bava a cui sto attualmente lavorando) . Vorrei comunque approfittare dell'occasione ripromettendomi di poter stare con voi non appena possibile. Inoltre vorrei elogiare ed incoraggiare(se ce ne fosse bisogno) l'iniziativa culturale perché credo che questo tipo di attività siano molto utili alla formazione del gusto personale nonché arricchenti spesso più di altre attività apparentemente deputate a ciò. Vi auguro buona visione (e buon ascolto)!

A presto Paolo Buonvino

dicembre 26, 2000

L'amante perduto


"L’amante perduto" è tratto dal romanzo di Abraham B. Yehoshua "L’amante". Chi ama leggere, solitamente storce il naso alla notizia di un film tratto da un romanzo che ha amato. Soprattutto se il romanzo in questione è scritto con una tecnica particolare e ricercata, assai difficile da "rendere" cinematograficamente.

Come possono la letteratura e il cinema prender parte ai conflitti morali e politici dei nostri giorni?

Solo tramite essi è possibile comprendere cosa significhi vivere in un paese in guerra. La televisione e i giornali comunicano notizie incomplete; non possono trasmettere i sentimenti, il punto di vista di chi queste esperienze le vive sulla propria pelle.



l film è soprattutto una storia d'amore, protagonista una coppia di ebrei inglesi trapiantati a Tel Aviv dopo la morte del figlio primogenito. Una morte che segna l'inizio della profonda crisi coniugale fra Adam e Asya. Sin dalle prime scene del film ciò che traspare è proprio quest’incapacità di dialogo tra loro.

Testimone dello sfacelo progressivo è Dafi, la figlia adolescente della coppia. Sarà lei ad avvertire immediatamente come una pericolosa intrusione l'arrivo di Gabriel, un giovane israeliano che ha vissuto a lungo in Francia, e che compare sul cammino di Adam e Asya come un angelo (di qui il nome), non si sa se salvifico o sterminatore.



L’amante perduto racconta con una forza descrittiva l'incontro-scontro tra due culture (l'araba e l'ebrea) costrette a condividere lo stesso territorio in mezzo a mille contraddizioni, e ne prefigura una possibile, auspicabile, e per certi versi ineluttabile conciliazione, attraverso la dimostrazione di un paradigma quotidiano e familiare. "L'amore è come la pace, per crederci bisogna essere un po' ciechi", dice l'ex-primo ministro israeliano Shimon Peres, "perciò quest'opera contiene una doppia provocazione: sostenendo che è possibile l'amore tra un arabo e un'ebrea, induce a credere possibile anche la pace fra i nostri due popoli".
Anche se Faenza definisce la sua opera un film sui sentimenti, L’amante perduto lancia un chiaro messaggio politico, un invito rivolto alle due parti, israeliani e palestinesi, a convivere insieme, a mettere da parte rancori e pregiudizi per raggiungere una pace duratura. Il film, pur trattando temi così delicati, alle volte risulta semplicistico, quasi didascalico; Faenza, in alcuni casi, dà tutto per scontato ed è come se nei suoi personaggi mancasse la riflessione, il dubbio della scelta, il tormento interiore. Bisogna però ammettere che questa "levità", in senso positivo, è una caratteristica di Faenza che lo accompagna fin da Marianna Ucria, dove descrisse il penoso isolamento in cui viveva la protagonista con semplicità, senza toni patetici e cadute di stile.

Il film comunica un evidente messaggio di pace e tolleranza sullo sfondo di una delle terre più martoriate dall'odio e dal fanatismo.




dicembre 22, 2000

Buena vista social club


Sentimenti, calore umano, amore per la musica è tutto ciò che percepiamo in Buena Vista Social Club, un piccolo film girato in video che nasce in collaborazione con il chitarrista Ry Cooder, allo scopo di filmare una Cuba invasa dal bolero e dal cha cha cha.
Traendo ispirazione dalla musica cubana dei Super- Abuelos, i super-nonni dai novantadue anni in giù, che Ry Cooder aveva riunito in un inedito gruppo nel 1996, Wenders segue i suoi musicisti ( e che musicisti!) in giro per l'Havana mentre si raccontano.
Sono Company Segundo (1907), Rubén Gonzàles (1919), Eliades Ochoa (1946), Orlando Lòpez Vergara "Cochaito" (1933), Omara Portuondo (1930), unica donna dell'ensemble e Ibrahim Ferrer (1927), leggendario cantante cubano.
Alle immagini dei vecchi musicisti intervistati a Cuba, Wenders alterna le riprese dei due concerti trionfali che seguirono, ad Amsterdam e alla Carnegie Hall di New York, il tutto con una leggerezza ed una briosità irresistibile.
E' un omaggio alla musica latino americana e ad un mondo musicale ma anche umano e sentimentale che sta ormai per scomparire.
Il pianoforte di Rubén Gonzàles, la voce di Ibrahim Ferrer, le chitarre e le voci di Company Segundo e di Eliades Ochoa, insieme alla chitarra di Ry Cooder, restituiscono appieno il sentire comune di questi artisti nei confronti della musica: un amore vissuto gioiosamente e intensamente come un destino inevitabile. E allo spettatore non resta che farsi contagiare da questo film nel quale si reinterpretano brani che sono dei classici di quella musica cubana definita "una relazione amorosa tra il tamburo africano e la chitarra spagnola".
La regia di Wenders, che come pochi sa sollevare la pelle delle cose sulle quali posa l'occhio, ma che troppo spesso trasforma questo magico momento in un'operazione retorica, non toglie nulla all'incanto del film. Ne nasce una storia vera: il ritorno alla ribalta, dopo quarant'anni, di questo gruppo di talentuosissimi musicisti cubani che né la storia, né le vicende della vita erano riusciti a separare.
Cuba e l'Havana, il Malecom invaso dalle onde e le case tarlate dalla salsedine, le strade maltenute e i grandiosi vecchi palazzi, fotografati con molta libertà e grandi contrasti di colori, parlano da soli e per allusioni: delle difficoltà della vita, dell'ironia e della malinconia di questa bellissima gente, della musicalità di un popolo.
E se Buena Vista Social Club cattura la magia nascosta di Cuba, restituisce l'emozione di un concerto, viaggia e scopre spazi di realtà ritagliati dai contorni della vita, lo si deve sicuramente alla scelta decisamente antimoderna di un regista, Wenders, che da vero "fotografo" si tiene in disparte. Egli non racconta, ma lascia raccontare e suonare, senza ammiccare in nessun modo al linguaggio contemporaneo della musica in video.

dicembre 21, 2000

Come te nessuno mai


"Per filmare i giovani, bisognerebbe avere una cinepresa con le ali…"

Che ci sia stata sempre tantissima curiosità per il mondo giovanile, è un fatto innegabile; è anche indubbio che questa curiosità è spesso sfumata nella nostalgia dei "grandi".

Il film di Gabriele Muccino (32 anni) è stato presentato a Venezia lo scorso anno e la sceneggiatura è stata scritta dal regista insieme con il fratello (protagonista del film) e da una sua coetanea. E' uno dei pochi esempi di film girati "in casa", con bassi costi e con varie pretese, come quella, per esempio, di farci immergere in un mondo magico e variegato, quello dell'adolescenza, in cui i ragazzi avvertono una inesauribile voglia di crescere. La sceneggiatura è basata su alcune esperienze reali del protagonista e dei suoi amici e riesce a presentare in maniera chiara e realistica la confusa situazione dei sedicenni, dimostrando come il tempo passi ma i giovani siano sempre uguali. E' questo il punto forte del film: sia che siamo stati a scuola, sia che no, tutti, in un modo o nell'altro, ci siamo trovati a vivere situazioni simili a quelle rappresentate.

Il film racconta di un gruppo di compagni di scuola (nella vita e nel film) che affondano i loro primi passi nel terreno molle della vita. Nel non facile tentativo di costruirsi un'identità, sperimentano insieme con noi per la prima volta amori, delusioni, scontri con i genitori, passioni musicali e politiche. E così, con la tenera esasperazione delle loro ansie, come se il loro mondo fosse l'unico mondo esistente, si buttano a capofitto nell'occupazione della scuola, nelle tensioni con i genitori, nella scoperta quasi inconsapevole dell'amore in varie sfaccettature. Tutto con una velocità esagerata, con un ritmo frenetico che riflette fedelmente la loro smania di

curiosare, di gustare, di affrontare l'improvviso, l'imprevedibile, l'imprendibile. A sedici anni tutto viene preso con grande serietà; se bisogna credere in qualcosa, lo si fa senza risparmiarsi. Si vuole cambiare il mondo e la cosa più romantica e affascinante è che si crede di poterlo fare con relativa semplicità. Come te nessuno mai stupisce per l'intelligenza con cui riesce a toccare, senza sforzo apparente, una serie di problematiche del mondo giovanile assai ardue da stringere in una sola pellicola e in così poco tempo, senza cadere nel banale.

Muccino sceglie di privilegiare la spontaneità degli attori rispetto alla formalità di una recitazione professionale, conferendo alle riprese un grande ritmo.

Se gli adulti di domani sono questi, il mondo può continuare a sperare.