aprile 22, 2001

I cento passi


“Questo non è un film sulla mafia, non appartiene al genere. E' piuttosto un film sull'energia, sulla voglia di costruire, sull'immaginazione e la felicità di un gruppo di ragazzi che hanno osato guardare il cielo e sfidare il mondo nell'illusione di cambiarlo. E' un film sul conflitto familiare, sull'amore e la disillusione, sulla vergogna di appartenere a uno stesso sangue. E' un film su ciò che di buono i ragazzi del'68 sono riusciti a fare, sulle loro utopie, sul loro coraggio. Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista (ma questo non riguarda solo i siciliani) molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore, alla loro allegra disobbedienza”.

A Cinisi, paesino siciliano schiacciato tra la roccia e il mare, nei pressi dell'aeroporto di Palermo, utile quindi per il traffico di droga, cento passi separano la casa di Peppino Impastato da quella di Tano Badalamenti, il boss locale. Peppino, bambino curioso che non gradiva il silenzio opposto alle sue domande, al suo sforzo di capire, nel 1968 si ribella come tanti giovani al padre. Ma in Sicilia la ribellione diventa sfida alle leggi della mafia. Quando si batte insieme ai contadini che si oppongono all'esproprio delle loro terre per ampliare l’aeroporto Peppino conosce le prime sconfitte ma scopre l'orgoglio di una vocazione.
Dopo varie esperienze fonda "Radio aut" che infrange il tabù dell'omertà e con l'arma del ridicolo distrugge il clima riverenziale attorno alla mafia. Tano Badalamenti diventa Tano Seduto e Cinisi è Mafiopoli. Il clima per lui si fa pesante: il padre cerca di farlo tacere, madre e fratello sono solidali con lui. Quando arriva il Settantasette, mentre c'è chi si rifugia nel privato, lui si presenta alle elezioni comunali. Due giorni prima del voto lo fanno saltare in aria sui binari della ferrovia con sei chili di tritolo. La morte, che coincide con il ritrovamento a Roma del corpo di Aldo Moro, viene registrata come "incidente sul lavoro" poi, dopo che gli amici mettono a disposizione degli inquirenti molti indizi dell'esecuzione, diventa addirittura "suicidio". Solo vent'anni dopo la Procura di Palermo rinvierà a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell'assassinio. Egli sarà condannato anche in seguito a questo film.

Uno, due, tre, quattro ....novantotto, novantanove, cento. Cento passi, nel viale principale di Cinisi, da una casa all'altra. Da quella degli Impastato a quella dei Badalamenti. Nomi che evocano storie particolari, nomi della storia d'Italia. Storia nostra. Cinisi - Sicilia - una trentina di chilometri da Palermo: tra mare e monti, un aereo che atterra e una Giulietta che esplode con l'ennesima vittima, tutto sembra scorrere nell'assoluta normalità. Il bar all'angolo, un matrimonio, la scuola e una pizza. Ma Marco Tullio Giordana, che di storia del Sud e d'Italia se ne intende, ci fa capire che quella di Cinisi non è una vita normale in un paese normale. Anni di piombo, di menzogne e di paure: certezze che crollano, ed altre, ugualmente effimere, che nascono. Ma non a Cinisi. Lì ci sono le "famiglie", i sepolcri sono davvero imbiancati, le regole della vita e della morte, del lavoro e della famiglia, sono diverse e governano l'esistenza, che pare immobile. Tutto deve sembrare buono, giusto, onorevole. Nemmeno un aeroporto pericoloso come quello di Punta Raisi, costruito per logiche certamente non attinenti allo sviluppo, alla sicurezza e al buon senso, scuote un paese, questo paese. Mentre, negli animi più sensibili e intelligenti, svegli e irruenti, suona, prima per curiosità poi per impegno, l'allarme della rivolta e della riscossa civile senza accettare alcun tipo di tattica prudente (gli ideali non hanno confini, corrono senza prudenza).
Gli anni dell'elettrica e contagiosa scossa civile che accompagna l'eroica resistenza morale di Peppino nell'ambiente scivoloso di Cinisi trovano la loro parte migliore nell'indagine dei rapporti intra-familiari. Perché tra gli Impastato - padre, madre, due figli maschi - parole, sguardi, silenzi, affetti e violenze scorrono o esplodono con forte intensità e debito realismo.
E' vero: I cento passi non è un film sulla mafia anche se parla quasi esclusivamente di mafia; è un film sugli ideali del '68, che, diciamolo, ormai appartengono alla storia, e qui se ne fa l'ennesima indagine; è un film sui rapporti tra persone quando sono volenti o nolenti sottoposti all'imposizione di patologie sociali e culturali come quelle che hanno incancrenito un'isola, una regione e, in parte, una nazione.

Alla fine del film, avevamo invitato a parlare Giovanni, il fratello di Peppino, il quale non è potuto venire perché ancora impegnato nel processo contro Badalamenti che si stava ultimando in quei giorni e che avrebbe contribuito alla sua condanna; ci ha comunque telefonato, assicurandoci il sostegno dell'iniziativa e parlandoci dei suoi rapporti con Peppino...

aprile 21, 2001

Placido Rizzotto


La sera del 10 marzo 1948 scomparve nel nulla Placido Rizzotto, Segretario della Camera del Lavoro di Corleone. Per uno strano scherzo del destino attorno a questo caso ci fu una convergenza di giovani uomini che diventarono importanti: da una parte Carlo Alberto Dalla Chiesa, il capitano dei carabinieri che fece le indagini e arrestò gli assassini di Rizzotto, e Pio La Torre, giovane studente universitario che sostituì Rizzotto alla guida dei contadini. E dall'altra, l'assassino Luciano Liggio e i suoi uomini che arriveranno ai vertici della mafia.
Il film vuole raccontare un sogno spezzato, nella certezza che ogni manifestazione di coraggio, ogni difesa dei deboli, ogni sentimento di dignità umana meriti di essere narrato.

“Chi era Rizzotto Placido da Corleone? Tante volte me lo sono chiesto. Tante volte ho provato a immaginarmelo, a dargli un volto, una camminata, un tono di voce.
Troppo poco sono le uniche due foto che lo ritraggono. Le fotografie, in quegli anni, i poveri le facevano per il matrimonio. E Placido non è arrivato a sposarsi. Allora preferisco pensare a lui come a un nome.
Già, i pensieri.
Chissà a cosa pensava quella sera tiepida di marzo Placido Rizzotto, mentre, in compagnia dei suoi assassini, percorreva le strade buie di una Corleone senza tempo? Chissà se era ancora vivo mentre lo precipitavano in quella "ciacca" che sprofonda nel ventre della terra? Chissà se ha tremato, se si è difeso, se ha chiesto aiuto?
A cosa può servire un film su Placido Rizzotto? E perché raccontare ancora (e a chi?) la sua vita e la sua morte?

Io penso che, lontano da ogni retorica, il sublime senso poetico che emana ogni manifestazione di coraggio, ogni puro sentimento di dignità umana, ogni difesa dei deboli, ogni fatto autenticamente popolare, merita di essere narrato, ha bisogno anzi di essere narrato e tramandato alle generazioni, affinché tra le generazioni gli uomini non smarriscano più i sogni .
Già, i sogni.

La microstoria che contiene (e racconta) la storia. Il passato che c’è nel presente e l’universalità che si può cogliere quando passato e presente si proiettano (attraverso elementi comuni e ripetibili) nel divenire dell’animo umano.
Quello che ho cercato di cogliere con questo film è la frattura che si determina tra le generazioni in certe particolari condizioni della storia (guerre, rivoluzioni, sommovimenti sociali).
Padri e figli che non si parlano e non si capiscono più. Sconvolgimenti sociali (e politici) che scuotono dalle fondamenta ordini secolari costituiti, fin dentro le stesse famiglie, fin dentro l’anima delle persone che "recitano" in questo film.
E così Corleone diventa il palcoscenico, il grande teatro dell’umanità derelitta. E la recita non può che finire in tragedia. Tragica sarà la fine del giovane Placido Rizzotto, ucciso selvaggiamente e buttato in un fosso. Tragica la sua fine, a più tragico ancora l’oblio che l’accompagna (i suoi miseri resti non hanno mai conosciuto una tomba e giacciono tra scartoffie e cianfrusaglie nei sotterranei del palazzo di giustizia di Palermo)”.

Scimeca, raccontando la storia di Placido “uomo dei sogni”, ci offre una cronaca ma anche un ripensamento, perfino una metafora del povero che lotta, una ballata, un'opera tragica dei pupi fatta di realismo magico, ma anche di antropologia di quella terra, nell'arco espressivo che da Rosi arriva ai 'bravi ragazzi' di Scorsese".

'I film di mafia sono i nostri western', dice Scimeca. E come i western, o le fiabe della tradizione orale, dovrebbero far parte della nostra memoria collettiva. Anche se a raccontare certe favole oggi si resta soli, come si vede nell'ultima, struggente inquadratura.

aprile 20, 2001

Sud


Il film, un sogno “rivisitato”, racconta l’avventura di tre disoccupati meridionali e di un disoccupato eritreo che s'impossessano della scuola-seggio elettorale del paese siciliano più a Sud d'Italia all'alba di una domenica elettorale e per caso si trovano a tenere con sé (ostaggi oppure ospiti) la figlia del deputato che è il più forte candidato alle elezioni e un amico di lei; alla fine saranno circondati da un numero spropositato di carabinieri e catturati.

Con "Sud" Gabriele Salvatores, narratore della generazione quarantenne in fuga, Oscar per "Mediterraneo", fa un film politico, e sceglie una forma drammaturgica classicamente teatrale, usata in infiniti film americani, per dare una struttura alla storia d'una rivolta forte e confusa, senza altro scopo che esprimere l'esasperazione e la protesta, senza altro possibile risultato che restituire ai rivoltosi un senso di dignità dell'esistere, una fiducia nel fare.
In un film svincolato da posizioni "preparate", che non assomiglia a nessun altro (e, questo, è titolo di merito), Salvatores suggerisce - incoraggia e insieme nega - una possibilità di rivalsa da parte dei dannati della terra. E la individua, oltre che nei propositi pur monchi dei personaggi e nella solidarietà dei paesani che occupano la piazza nel corso della rivolta battendo gran colpi su bidoni, nella musica rap, in un'arte povera che ha scelto di trovare uno spazio fuori dai circuiti di diffusione della merce culturale.
Sud è il racconto d'una disperazione italiana non soltanto meridionale, contemporanea ma radicata nel passato.
Segnaliamo, infine la presenza di un personaggio invisibile ma onnipresente: la televisione, rappresentata dal giornalista supercinico Claudio Bisio, ovvero dalle telecamere nascoste che la sua troupe piazza nel seggio occupato. Il politico Cannavacciuolo lo dice chiaro: "Capitano, questo Paese lo governiamo con la Tv, mica coi carabinieri".

"A che serve avere ragione quando poi sei morto?".
"Questo è un pensiero difficile, ti lascio da solo".

aprile 19, 2001

Rassegna 2001

I sogni spezzati

La "mini rassegna" del 2001 è dedicata al tema della legalità S'intitola "I sogni spezzati".
I tre film che la compongono, Sud, di G. Salvatores, Placido Rizzotto di P. Scimeca e I cento passi di M. Tullio Giordana vogliono sottolineare l'impegno del circolo a favore di un cinema civile e di denuncia delle illegalità. E' anche il primo cineforum in cui appare il nuovo logo...




"Io penso che, lontano da ogni retorica, il sublime senso poetico che emana ogni manifestazione di coraggio, ogni puro sentimento di dignità umana, ogni difesa dei deboli, ogni fatto autenticamente popolare, merita di essere narrato e tramandato alle generazioni, affinchè tra le generazioni gli uomini non smarriscano più i sogni" (P. Scimeca)