Mio fratello è figlio unico

Il film di Daniele Lucchetti chiude "SetteGiorniGiovani", la manifestazione che sostituisce lo storico Settembregiovani a Chiaramonte. Appuntamento alla villa comunale il 2 settembre alle ore 21.00
Accio è la disperazione dei suoi genitori, scontroso e attaccabrighe, un istintivo col cuore in gola che vive ogni battaglia come una guerra. Suo fratello Manrico è bello, carismatico, amato da tutti, ma altrettanto pericoloso... Nella provincia italiana degli anni '60 e '70, i due giovani corrono su opposti fronti politici, amano la stessa donna e attraversano, in un confronto senza fine, una stagione fatta di fughe, di ritorni, di botte e di grandi passioni. E' un racconto di formazione dove sfilano quindici anni di storia d'Italia attraverso le avventure di Accio e Manrico, due fratelli diversi, ma non troppo...
Come nell'omonima canzone di Rino Gaetano, l'attestazione d'amore fraterno è il tramite per parlare di società e politica, in questo caso a partire dal romanzo autobiografico "il fasciocomunista" di Antonio Pennacchi. Daniele Luchetti compone un ritratto originale di neofascista, ne fa un monello problematico ("c'ho 'na crisi de coscienza, che devo fa'?"), da subito "dalla parte degli ultimi", studente dotato, divenuto picchiatore di destra per carenza d'affetto e considerazione. Iscrittosi all'M.S.I., lo sveglio Accio ne scopre le incompatibilità con la propria indole (l'ideologia rozza e acritica, il quotidiano di partito con il gossip sulle famiglie nobili, i dirigenti che non partecipano alle azioni, la gerarchia interna) in efficaci e dirette scenette macchiettistiche. Il giovanissimo Vittorio Emanuele Propizio si fa amare immediatamente, con una faccia da schiaffi e un incontenibile spontaneismo goffo che spinge continuamente al sorriso. Specialmente nella prima parte il film recupera con esatta freschezza il più acuto cinema italiano dei '60 e l'istantanea di una famiglia proletaria (un'abitazione pericolante, padre operaio di fabbrica, madre votante - ma senza sapere di cosa si tratti - di quello che lei stessa ha ribattezzato "il partito delle casette" per via del simbolo, e tra i fratelli manesche dimostrazioni di legame parentale).
Premesso ciò, va bene che il focus è su uno dei due figli maschi, ma il passaggio dell'altro alla clandestinità è di una schematica e lacunosa automaticità, manca di raccordi proprio quando il tono si drammatizza per arrivare ad un culmine tragico. Rimane quindi il rammarico per il fatto che una commedia sociologica non riesca a superare le difficoltà cinematografiche nostrane rispetto a un'analisi sulla lotta armata, allo stesso passo di un paese ancora incapace di fare i conti col suo rimosso, recente passato. (Da Film -up.it)
Come nell'omonima canzone di Rino Gaetano, l'attestazione d'amore fraterno è il tramite per parlare di società e politica, in questo caso a partire dal romanzo autobiografico "il fasciocomunista" di Antonio Pennacchi. Daniele Luchetti compone un ritratto originale di neofascista, ne fa un monello problematico ("c'ho 'na crisi de coscienza, che devo fa'?"), da subito "dalla parte degli ultimi", studente dotato, divenuto picchiatore di destra per carenza d'affetto e considerazione. Iscrittosi all'M.S.I., lo sveglio Accio ne scopre le incompatibilità con la propria indole (l'ideologia rozza e acritica, il quotidiano di partito con il gossip sulle famiglie nobili, i dirigenti che non partecipano alle azioni, la gerarchia interna) in efficaci e dirette scenette macchiettistiche. Il giovanissimo Vittorio Emanuele Propizio si fa amare immediatamente, con una faccia da schiaffi e un incontenibile spontaneismo goffo che spinge continuamente al sorriso. Specialmente nella prima parte il film recupera con esatta freschezza il più acuto cinema italiano dei '60 e l'istantanea di una famiglia proletaria (un'abitazione pericolante, padre operaio di fabbrica, madre votante - ma senza sapere di cosa si tratti - di quello che lei stessa ha ribattezzato "il partito delle casette" per via del simbolo, e tra i fratelli manesche dimostrazioni di legame parentale).
Premesso ciò, va bene che il focus è su uno dei due figli maschi, ma il passaggio dell'altro alla clandestinità è di una schematica e lacunosa automaticità, manca di raccordi proprio quando il tono si drammatizza per arrivare ad un culmine tragico. Rimane quindi il rammarico per il fatto che una commedia sociologica non riesca a superare le difficoltà cinematografiche nostrane rispetto a un'analisi sulla lotta armata, allo stesso passo di un paese ancora incapace di fare i conti col suo rimosso, recente passato. (Da Film -up.it)
La frase: "L'italiano è così: gli piace da' la mano a chi vince".